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martedì 9 febbraio 2016

ll Nome: Contratto Ospedaliero


La natura contrattuale del rapporto tra ente ospedaliero e paziente assume caratteristiche particolari in caso di ricovero ospedaliero di una gestante, poiché l’ente ospedaliero si obbliga a effettuare due prestazioni:

– offrire alla gestante le cure e le attività necessarie per consentirle il parto;
– eseguire, con la dovuta diligenza, tutte quelle prestazioni necessarie al feto (e al neonato), sì da garantirne la nascita evitandogli, nei limiti consentiti dalla scienza, qualsiasi possibile danno.

Il contratto tra la partoriente e l’ente ospedaliero si atteggia, pertanto, come contratto con effetti protettivi a favore di terzo (il nascituro). Ne consegue che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica, può far valere la responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie cui il contraente è tenuto in forza del contratto stipulato, col genitore o con terzi, a garanzia di un suo specifico interesse.

Sono questi i principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento ai danni patiti da un bambino al momento della nascita, evento di frequente verificazione nella prassi.

 Nel codice civile vi sono numerose disposizioni che attribuiscono direttamente al nascituro determinati diritti o capacità:

– la possibilità di essere riconosciuto dal genitore (art. 250 c.c.);
– la capacità di succedere attribuita a chi è solo concepito al momento dell’apertura della successione (art. 462 c.c.) e, addirittura, ai figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti;
– la revocazione delle disposizioni a titolo universale o particolare per la sopravvenienza di figli, anche soltanto concepiti (art. 687 c.c.);
– la subordinazione della divisione alla nascita del concepito (art. 715 c.c.);
– la donazione a favore del solo concepito (art. 784 c.c.).

Tuttavia, in caso di danno patito dal bambino a causa dell’errato trattamento praticato al momento della nascita, siamo in presenza di un danno che incide immediatamente e direttamente su un soggetto venuto a esistenza, sia pure per effetto di un fatto colposo commesso anteriormente alla nascita: escludere il diritto al risarcimento del danno soltanto perché il fatto colposo si è verificato anteriormente alla nascita significa abbracciare l’idea sbagliata secondo la quale, ai fini del risarcimento del danno extracontrattuale, occorre un rapporto intersoggettivo tra danneggiante e danneggiato.

Non è il rapporto intersoggettivo che consente la tutela di un interesse, quanto l’esistenza di un centro di interessi giuridicamente tutelato, che non può essere negata nei confronti del concepito.

Già la Corte Costituzionale aveva precisato che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale nell’art. 31, co. 2, Cost. (che impone espressamente la protezione della maternità) e, più in generale, nell’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi la situazione giuridica del concepito.

La L. 194/1978, significativamente intitolata «Norme per la tutela sociale della maternità», proclama, all’art. 1, che «lo Stato…riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana del suo inizio» che, come si evince dal combinato disposto con gli articoli successivi, va riferito al momento del concepimento (e non tanto, o non solo allo scadere del novantesimo giorno dal concepimento, cui fa riferimento il successivo art. 4).

 L’interruzione della gravidanza è quindi ammessa solo entro i primi 90 giorni (art. 4) qualora la sua prosecuzione, il parto o la maternità comporterebbero «un serio pericolo per la…salute fisica o psichica» della madre.
Solo eccezionalmente è consentita l’interruzione anche oltre i 90 giorni (art. 6).

È sanzionata penalmente, inoltre, l’interruzione della gravidanza per colpa o la determinazione per colpa di un parto prematuro (art. 17) senza il consenso della donna (art. 18) o al di fuori dei casi e delle modalità consentite (art. 19).

 Lo stesso diritto alla salute, che trova fondamento nell’art. 32 Cost. — per il quale la tutela della salute è garantita come fondamentale diritto dell’individuo (oltre che come interesse della collettività) — non è limitato al periodo successivo alla nascita, ma deve ritenersi esteso anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli nel periodo che la precedono, volte a garantire l’integrità del nascituro.

 Numerose norme prevedono, del resto, forme di assistenza sanitaria alle gestanti e assicurano loro i necessari congedi dal lavoro, non al solo fine di garantire la salute della donna ma anche per assicurare il migliore sviluppo e la salute stessa del nascituro. Attraverso tali norme non viene attribuita personalità giuridica al concepito, ma si tutela l’individuo fin dal concepimento, garantendo, se non un vero e proprio diritto alla nascita, che sia fatto il possibile per favorirne la nascita e la salute.

Una volta accertata, quindi, l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento colposo del medico, anche se anteriore alla nascita, e il danno causato al soggetto che, con la nascita, ha acquistato la personalità giuridica, deve essere riconosciuto, in capo a quest’ultimo, il diritto al risarcimento.

Né può obiettarsi che il feto è parte del corpo materno sicché non potrebbe ipotizzarsi una sua tutela autonoma, poiché si tratta, fin dal concepimento, di un’entità distinta, tutelata anche contro gli eventuali attentati che provengano dalla madre (aborto al di fuori delle ipotesi previste).

Anche la giurisprudenza ha affermato che, nel caso di responsabilità del sanitario per il mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla L. 194/78, il danno risarcibile è rappresentato non solo dal pregiudizio alla salute fisio-psichica della donna, ma anche da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell’inadempimento del medico nonché dal danno biologico in tutte le sue forme.

 Non è invece configurabile, in capo al concepito, un «diritto a non nascere» o a «non nascere se non sano», come si desume dal combinato disposto degli artt. 4 e 6, L. 194/1978, in base al quale:

– l’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo a evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine);
– si tratta di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre;
– le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro).

 Inoltre, il diritto a «non nascere» sarebbe un diritto senza titolare, in quanto ai sensi dell’art. 1 c.c. la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito — artt. 462, 687 e 715 c.c. — sono subordinati all’evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita, sicché il diritto di non nascere non avrebbe alcun titolare fino al momento della nascita.


Fonte: http://www.laleggepertutti.it/106966_il-contratto-di-ricovero-ospedaliero-della-gestante

Alessandro

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